Il Torrione di Talucco si trova nei dintorni di Rocca Sbarua, presso il Colle del Cro. Qui Renato ha aperto una nuova via, I fiori di Yangon, nobilmente dedicata al popolo della Birmania. Usciti in vetta si può concatenare la Cresta dei Sette Confini. Ingenuamente non mi informo bene sulle difficoltà di quest’ultimo tratto e prendo per buono il 5b, una leggerezza che poi mi costerà fatica su uno dei percorsi che viene a rivelarsi tra i più duri che abbia salito.
Dopo tanto tempo finalmente ci si ritrova con Renato e compagnia al Colle Crò! È da un po’ che non ci si rivede, l’occasione è imperdibile. Tira un vento assurdo, ma caldo. Con me c’è Riccardo, detto Ricu, con il quale ultimamente ho salito ormai diverse vie. Arriviamo all’attacco attraversando un rigoglioso bosco di faggi, che in quest’autunno radioso rivela il meglio dei suoi colori sgargianti. Fa caldo e siamo al riparo dal vento. La via si sviluppa su un torrione di fine gneiss, la roccia è del tutto simile a quella della vicinissima Sbarua. La via è chiodata benissimo e segue una sua logica, seppur non di stampo completamente classico. Il tiro chiave a mio avviso è il secondo, dove un breve traverso su placca liscia e ben protetta risulta assai impegnativo. Anche se, curiosamente, la lunghezza viene indicata solo 5a!
Seguendo gli spit lucertolati arriviamo in cima al Torrione. Renato ha solo una scarpetta, ma va il doppio di me. La scelta di portare due mezze corde da 60 non è del tutto azzeccata, perchè i tiri sono brevi, sui 20m, a volte meno, e obbligano un logorio di braccia nel recupero.
Seguiamo quindi le tacche bianche che raccordano con la Cresta dei Sette Confini. Un paio di tiri per arrivare ad una lunghezza che trovo assai fisica e difficile. Mungo come un disperato, poi scopro che si tratta di 6b+! L’avessi saputo prima sarei fuggito terrificato convinto di non riuscire a salire nemmeno con l’ausilio di una scala a pioli. Il povero Riccardo che come me preferisce placche e aderenza alla tenuta di braccia mi segue a fatica. Renato e band nel frattempo addirittura spariscono dalla visuale. Loro sì che rendono!
Ci avviciniamo all’ultimo muro finale sul calar del sole. La luce accende e ravviva il granito color protogino. Vinco con relativa facilità il muro e arrivo a tirar testa, esausto, sul ripiano finale. Basta vincere l’ultimo ben manigliato strapiombino. Ma le mie braccia non tengono più. Comicamente resto lì una decina di minuti a guardare il comodo ripiano lì davanti alla mia testa, poi, dopo infiniti resting e l’infinita pazienza di Riccardo, supero l’ostacolo e mi trascino sul pianoro finale.
Resta un ultimo brevissimo tiro per poter onorare la salita integrale di una via veramente dura e notevole. Ecco che Ricu parte deciso e… – un momento, ma cosa fa? Svincola di lato e, vista la vicina uscita, taglia l’ultima breve lunghezza e fugge nei boschi. Ma ne abbiamo basta entrambi ed il sole è già calato. Va bene così.
Alcune note su questa via. Si sviluppa su una serie di Torrioni poco pronunciati rispetto ai boschi circostanti. Una situazione che può rivelarsi utile in caso di prematuri abbandoni. La linea dello sviluppo invece è elegante, su un’ottima roccia e molto impegnativa nel complessivo di ben 10 lunghezze. Alcuni raccordi nel bosco purtroppo spezzano la continuità dell’ascesa. La chiodatura, come già affermato, è perfetta.
Per saperne di più: I fiori di Yangon e La Cresta dei Sette Confini.
Finito il tempo dei fungaioli, andar per boschi è piacevole se non si incontrano…i cacciatori! Allora andiam per rocce che , nonostante le “cattive compagnie” da grandi soddisfazioni, a patto di ricordare che i piedi sono si, due…ma diversi tra loro.
Ach,
io pensavo che avessi davvero due piedi sinistri! Comunque secondo me la scelta di salire con una scarpa e una scarpetta inaugurerà una moda che farà tendenza 🙂