Ci vogliono le giuste occasioni e le giuste condizioni per arrampicare con piacere sul massiccio del Monte Bianco. Le giuste condizioni sono arrivate finalmente questa estate, con quel caldo favorevole che fa piacere l’arrampicata in quota, circondati dai più alti e meravigliosi ghiacciai d’Europa.
Monts Rouges des Triolet – via Beresina
Eccoci dunque in Val Ferret, ad Arp Nouva, dove saliamo al Rifugio Dalmazzi, nel bacino del Triolet. Un’ampia valle segnata da morene ci porta sotto le balze che sostengono il rifugio, difeso da ripide pareti che si superano con una veloce via attrezzata.
Molto accogliente il Rifugio, piccola costruzione in grado di ospitare poche persone, oasi ideale per stare un poco lontani dalle resse ferragostane. A due minuti si può già arrampicare sulle vicinissime pareti. La nostra meta invece è la Beresina, una via targata Motto-Piola-Lanza. Motto e Piola non hanno bisogno di presentazione: da soli hanno riempito il granito del Bianco di vie di assoluto rilievo per bellezza e difficoltà. Per nostra fortuna ogni tanto è loro riuscita qualche via più “facile”, che consente anche a noi un approccio, sia pur con estrema attenzione e circospezione.
Saliamo dunque verso l’attacco della Beresina (D+,5c), una via di placca sulle pareti dei Monts Rouges de Triolet. Dopo aver superato morene inseguite da pittoresche lingue di seracchi saliamo un ripido nevaio che difende l’attacco. Trovare un posto sulla neve ripida per togliere i ramponi e cominciare ad arrampicare oltre la terminale è un problema. In qualche modo arriviamo alla prima sosta senza entrare nel vicino diedro franoso.
L’arrampicata è bellissima e aderente, con vista sui grandiosi ghiacciai e le pareti del bacino del Triolet. Non solo placche, anche qualche muretto, diedrino, fessurine. Il famodo diedro sospeso è entusiasmante, su placca liscia e aderente, da spingere di piedi con precisi movimenti.
Dall’ultima sosta inizia una serie di calate lungo la via, un po’ delicate all’inizio, specie per superare il diedro sospeso. Ma va tutto bene, non si incastra niente. Curiosamente i bisticci iniziano a circa 60m dall’attacco, quando un’asola mi fa penare più di un’ora per ripetuti incastri fastidiosi, ma su terreno ormai più facile da risalire. Le solite beghe delle doppie.
Quanto a tecnicismi osserviamo che la via è protetta a radi spit, in particolare attenzione alla lunghezza che precede il diedro (se li trovate ci sono due spit in circa 50m di sviluppo su placca poco integrabile, massimo 5b). Le soste sono su due spit con maillon, ma andrebbero sostituiti tutti i cordini che li collegano, non ci sono catene.
Rientriamo a Lavachey con una divertente camminata notturna nella Val Ferret, ormai tardi per prendere la navetta, ma in tempo per apprezzare un cielo stellatissimo.
Pyramide du Tacul – via Ottoz-Grivel-Croux
La sera del lunedì siamo al Rifugio Torino. Ma martedì una fastidiosa saccatura pasticcia il mattino con piccole tormente di vento e nuvole. Pessimismo cosmico. Per fortuna l’entusiasmo della mia amica Paola impone il semplice ritardo di un giorno per la nostra meta: la storica via Ottoz alla Pyramide du Tacul. Una spettacolare arrampicata su granito appoggiato non oltre il IV+ (così si dice). Disdegniamo invece una salita sulla vetta del Bianco a causa del caldo più propizio alle rampicate – scopriremo poi che il crollo di un seracco dal Maudit avrà conseguenze drammatiche…
La via è difesa da una terminale larga e preoccupante, collegata alla parete da un esile ponte fratturato. La salita è varia, troppo varia. Le relazioni poco comprensibili. Infatti si sale ovunque e si trovano soste ovunque. Ad esempio per arrivare dinanzi al tiro chiave saliamo un diedro più sostenuto sulla sinistra, anziché la facile fessura a destra (acc, dannaz, malediz…). Nello strapiombino troviamo un piolo e numerosi chiodi arrugginiti, altrimenti tutta la via si protegge bene a friend. Il granito è fantastico! L’ultima sezione è costituita da uno spigolino di blocchi accatastati con facili e faticose fessure, poco entusiasmanti, ma che ci depositano sulla vetta tetraedrica della Pyramide.
Siamo in un luogo straordinario, in mezzo a ghiacciai sterminati contornati da guglie di granito che lasciano senza parole. È un’esperienza incredibile essere qui, in quest’aria leggera, con le giuste condizioni meteo e la giusta compagnia, lontani da ogni affanno quotidiano. Sì, poi si pensa sempre alla discesa, c’è ancora da stare attenti. Ma penso anche a quanto tempo ho atteso per fare un giro su di qui, alla felicità di esserci, a come siamo saliti bene, ad ogni bel momento, al piacere di come ci figuriamo e viviamo le nostre montagne.
Solite doppie un po’ fastidiose ci riportano alla base tra soste e cordoni… e calzini cadaverici che Paola non manca ad ogni occasione di infilarmi nello zaino! Alla base non esiste più il ponte. Salutiamo il granito e attraversiamo in doppia con il gradito aiuto di due simpatici alpinisti spagnoli che stavano sopraggiungendo. Una serata tra seracchi ci riporta al Torino. Neanche troppo stanchi e molto soddisfatti.
Ottime le gestioni del Dalmazzi e del Torino. Eccellente quella del Torino, attenzione solo al deposito materiali. C’è gran frequentazione e sparisce di tutto: soprattutto maglie, magliette, sacchiletto… occhio!!
Un saluto a Elisabetta e Pieter che hanno condiviso buona parte della Beresina. Grazie agli alpinisti di Madrid per l’aiuto sul ponte fantasma! Finalmente gran sole sul Bianco! Le giuste occasioni, a Paola… grazie per i più bei giorni in montagna scritti fin qui.
Complimenti Marco, per le foto e per le arrampicate!
Eh! Complimenti davvero.
complimenti!!!