Si dice che il Lautheraarhorn sia una montagna poco bella, salita di malavoglia solo da alcuni collezionisti di quattromila per completare collezioni di cime. Non è così, credetemi.
Approfondendo le relazioni, si scopre che la cattiva reputazione è del tutto infondata. La montagna offre delle caratteristiche uniche sulle Alpi. Il Lauteraarhorn rappresenta un viaggio nel cuore più selvaggio delle Alpi. La lunga salita, quasi 25Km, avviene su un ghiacciaio vallivo enorme, senza fine, in un luogo del tutto aspro e incontaminato. Si tratta della regione dell’Aar.
Il remotissimo bivacco è dotato di ogni genere di ospitalità ed è tenuto molto bene. La salita finale non è certo agevole, un festival dei detriti, ma è facile e sicura, mai pericolosa. I ramponi non servono quasi se si sale qui in piena o tarda estate, li abbiamo usati solo per i pochi metri che precedono l’attacco del canale. Non manca una semplice e bella cresta finale, su cui volendo è possibile salire in conserva protetta. Il panorama è estesissimo e incantevole. Tutte ragioni che portano questa montagna ad essere di grande interesse tra chi cerca un vero viaggio incontaminato nel cuore delle Alpi.
La partenza dovrebbe avvenire dall’Ospizio di Grimsel. Tuttavia, presi gli zani, ci accorgiamo che l’accesso alla diga è sbarrato in modo inviolabile, causa lavori. Occorre riprendere l’auto, scendere a valle fino ad un parcheggio un centinaio di metri sotto il passo. Si riparte da qui, scendendo sotto la diga e risalendo un faticoso sentiero gradinato. Tanto il giro è lungo, che sarà una deviazione in più.
Attraversata la galleria, inizia l’eterno lungolago. Un continuo saliscendi tra gradini e placche di granito – il famoso granito del Grimsel – intagliate sui baratri. Non pensate di farlo in bici.
Giunti in qualche modo alla fine del lago si presenta il ghiacciaio da risalire. Perdiamo tempo a cercare un bivio che non esiste, e ci attardiamo in alto verso la Lauteraarhornhütte. Complice anche un secondo sentiero che conduce a questo rifugio, scopriamo troppo tardi di essere fuori traccia. Per non tornare indietro di 200m di dislivello, preferisco farne altri 100 e salire al rifugio. Da qui una serie impressionante di scalette riporta al pianoro glaciale. Tanto il giro è lungo, che sarà una deviazione in più.
I detriti e le morene nascondono a volte in modo insospettabile il ghiaccio vivo. Si risale la valle seguendo i pochi ometti fino alla travagliata giunzione con il Lauteraargletscher. In questa zona per poco un fulmine non ci incenerisce. Si attraversa subito a sinistra, si prende il filo della morena e si risale il ghiaccio vivo del Finsteraargletscher. Qui appare in tutta la sua imponenza la montagna più alta dell’Oberland, il Corno Scuro di Aar (Finsteraarhorn).
Nella parte finale del ghiacciaio compaiono alcune boe indicatrici. Sul ghiacciaio si trovano numerosi resti di punte di ferro, probabilmente un tempo usate per piantare le boe.
Giriamo l’angolo sul Strahlegg Gletscher e sulla nostra destra appare il bivacco. Occorre ancora salire la faticosa morena. Arriviamo a destinazione dopo circa 7h di estenuante cammino. L’Aarbiwak è dotato di ogni genere di comfort, gas, bibite, pentole. La pulizia è eccellente. Si trova acqua a pochi metri. Si paga sul posto o tramite bonifico. Un cartello dice che è possibile pagare in €, osservando il cambio corrente.
Dal bivacco la montagna appare verticale e ci sono dubbi su come aggirare la ripida neve. Salendo ci accorgeremo che qui più che mai l’apparenza inganna.
Al mattino verso le 3:45 ci abbassiamo sul ghiacciaio detritico. Dopo un’ora e mezza almeno arriviamo all’attacco del canale sud. Troviamo la cengia che sale a destra della cascata, che porta agevolmente sopra essa. Inizia quindi il pendio che conduce al canale. Si sale sempre senza ramponi, su detriti. Benchè siano molto faticosi, sono abbastanza sicuri. Con un po’ di attenzione non si stacca nulla. Chiaramente se ci fossero numerose cordate impegnate nella salita i pericoli aumenterebbero.
Si sale un po’ il canale, approcciandolo nella sua parte più incassata, a destra del grande nevaio. Dopo alcune centinaia di metri si passa sul suo sperone di sinistra, sicuro e sempre privo di neve. Con grande fatica – ad ogni passo i detriti ti riportano a valle – si arriva all’orlo della cresta W.
Alcune relazioni suggeriscono che le condizioni ideali siano con abbondante neve portante, che copre i detriti formando una costante inclinazione tra i 45° ed i 50°. Mi lasciano perplesso queste valutazioni, in quanto il canale andrebbe successivamente sceso per quasi un migliaio di metri faccia a monte su neve inevitabilmente molle (l’esposizione è sud), senza possibilità semplice di fare sicurezza. Benchè faticosi, i detriti offrono invece una maggiore tranquillità, avendo cura di non farli scappare su chi sta sotto.
Arrivato nei pressi del piccolo Gran Gendarme non ne posso più di detriti, però, e seguo gli ometti che portano sulla sua cima, supponendo che si possa aggirare. Invece no, occorre tornare indietro (casomai è possibile una breve doppia). Tanto il giro è lungo, che sarà una deviazione in più.
La cresta finale è molto bella, salda, facile e piacevole. Arrivo in cima commovente. Siamo circondati da ghiacciai vallivi impressionanti, come ormai raramente accade di vedere in Europa (affrettatevi però, stanno scomparendo ad un ritmo vertiginoso). La pianura bernese e la conca di Grindelwald appaiono dietro l’immensa mole rocciosa del Corno dell’Orco (Shreckhorn). Brillano al sole tutte le montagne dell’Oberland, dall’Aletschorn all’Eiger.
La giornata è perfetta. Non una nuvola, poco o niente vento, molto mite. Dopo due estati davvero bruttine o fredde, giornate così ripagano ampiamente una lunga attesa. Il rientro lungo e faticoso viene ripagato da una delle migliori uscite che si possono fare con il bel tempo.