Siamo arrivati ai distensivi giorni prenatalizi, quando di fronte ad una convulsa frenesia di regali e utime cose da fare prima dello scadere dell’anno spesso non si riesce ad apprezzare la bellezza di questo periodo. Giorni corti, ma tranquilli, ovattati di una calma che dona un senso di compunto piacere. Giorni anche pigri, dal momento che non riesco a ritrovare la voglia di seguire Renato sulla sua ultima nuova via aperta al Talucco, quando invece dovrei omaggiare di corsa una simile occasione. La stanchezza (o la pigrizia?) questa volta mi riconduce a pareti più vicine, improvvisamente spoglie di neve sotto l’effetto del gran caldo che affligge ormai ogni anno gli inverni subalpini.
Si va a Lities con Ricu, per fare qualcosa di nuovo. Siamo indecisi se buttarci su due o tre tiri sul settore Agrieru, o provare il paretone della Cresta delle Torri: un’imponente faccia rocciosa con uno sviluppo sui 300m che relega l’arrampicata a confine tra la comoda falesia e l’arrampicata d’ambiente.
La logica vorrebbe una scelta tranquilla, – è anche tardi -, ma la visione della paretona si impone nella scelta e la calamita in modo irresistibile. Ci buttiamo sui Guerrieri dell’Arcobaleno per poi magari imboccare “il bivio” di Je atans mo: anstre. L’arrivo all’attacco, sotto un sole tiepido infastidito dal mistral, viene salutato da un camoscio che ci guarda perplesso. È tempo di caccia e molti di questi animali sono minacciati dalle scariche furiose dei fucili.
Ho di nuovo dimenticato la macchina fotografica.
La prima lunghezza della via, intendo la prima dopo aver percorso il tratto comune con i Guerrieri dell’Arcobaleno, è un traverso seguito da un cambio improvviso di direzione, dove la corda rischia di bloccarsi per l’attrito. Per di più in un punto molto delicato e strapiombante. Molta gente ci ha lasciato i cordini. Nel vero senso della parola, ovviamente, non in quello figurato ed escatologico! I seguenti tiri su placca sono bellissimi! Ma arriviamo al tiro chiave, il gran diedro di 6a, quando è ormai tardi. Le lunghe ombre proiettate nel diedro lo rendono freddo e un po’ repulsivo. Per Ricu troppo. Con un pizzico di rimpianto rinuncio anch’io a provare: è tardi, non so quanto ci potrebbe portar via l’ultimazione della via, le giornate sono corte e il tramonto impone un repentino calo termico. Cominciamo a fare le doppie, che ci riportano nelle ombre della valle. Con calma, oggi è bello vivere ogni attimo di questo ambiente così magico e soffice.
Je atans mo anstre è stata aperta da Renato Giustetto nel 2006. Tratto dall’antico franco-savoiardo, significa compio il mio destino. Già, chissà se esiste un destino, se è vero che può essere scelto, veicolato, o almeno captato. Oppure se, invece, non è altro che parte del grande caso-caos dell’Universo, di una vita che ci trotterella come pezzi da biliardo. Il pensiero mi sfugge rapidamente come il tramonto della corta giornata invernale. Sono felice d’aver salito queste sei lunghezze della parete, così, senza un vero obiettivo, senza dover fare o dimostrare qualcosa; quasi a caso, in barba al destino. Le prime luci di Natale decorano le strade e la valle. Una dolce calma d’attesa avvolge ogni cosa.
Per quanto differenti appaiano i destini, una certa compensazione di mali e di beni li rende tutti uguali.
La Rochefoucauld