Passate al post successivo, questo è solo un intermezzo.
Le prime canzoni che si ascoltano sono quelle che – dicono – restano per tutta la vita. Ci si affeziona, insomma.
Trascorrevano gli anni ’80, e piccolo allora lo ero davvero! A quei tempi, per fortuna, andavano ancora di moda canzoni commerciali con un senso compiuto, legato alla società o ispirato da esempi della letteratura. Erano le canzoni d’autore, legate ad alcuni grandi artisti nati in quel periodo di grande fermento culturale e sociale degli anni ’60 e ’70. Branduardi scriveva bellissime canzoni di stampo etnico, De Andrè ispirato a Dylan e alla musica d’autore francese; come Vecchioni. Guccini più appoggiato alla tradizione folk, Fossati ai ritmi africani, Battiato a quelli asiatici.
In provincia di Torino andava allora in onda una trasmissione radiofonica intitolata Musica d’Autore, condotta da un certo Pierre Berndard, o Saint Jacques, chi se lo ricorda più… Erano i tempi che la radio trasmetteva ancora musica in modo sensato, organico: il conduttore sceglieva i pezzi, li introduceva all’ascolto, talora spiegandoli e argomentandoli. Si era pure composto la sigla. In questo programma l’oggetto era, appunto, la musica d’autore.
Qui per la prima volta ho ascoltato canzoni come Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers, ma anche gran parte delle canzoni di Non al denaro, non all’amore nè al cielo di De André. Qui ho ascoltato per la prima volta Guccini, De Gregori, Vecchioni, Conte e tanti altri.
Mi piacevano, e mi piacciono ancora, quelle canzoni che hanno qualcosa da dire, una storia da raccontare. Non mi sono mai piaciute le canzoni d’amore, quelle nel senso più intrinseco e qualunquista. Non ci ho mai trovato nulla di significativo o di riferimento alla mia vita di tutti i giorni. Ad esempio, ho sempre odiato Baglioni. Viceversa trovavo interessanti le storie-canzoni di Ivan Graziani. Ed anche quel piagnone di Vecchioni, che infrangeva sogni in un marciapiede di Torino o nella nebbia di Milano.
Ho sempre apprezzato in modo assai particolare Francesco Guccini, impossibile poi non affezionarsi a Claudio Lolli e alla sua incredibile tristezza che sfiora e supera l’ironia ed il sarcasmo.
Oggi quei programmi radiofonici non ci sono più. Le canzoni che vanno in onda sono preparate a tavolino secondo le programmazioni ed il più delle volte esulano dai discorsi frivoli dei conduttori. A parte qualche eccezione, anche la canzone si è ulteriormente appiattita al comune sentire del nuovo millennio. Niente più ironia, non parliam di critica, nulla che possa urtare la follia quotidiana, nulla che sia in grado di far pensare. Solo tante canzoni d’amore per tutti.
Forse sono un po’ troppo severo con le canzoni d’amore, vi lascio quindi questo bel brano che dedico a tutti gli innamorati:
Un uomo onesto, un uomo probo,
tralalalalla tralallaleru
s’innamorò perdutamente
d’una che non lo amava niente.Gli disse portami domani,
tralalalalla tralallaleru
gli disse portami domani
il cuore di tua madre per i miei cani.Lui dalla madre andò e l’uccise,
tralalalalla tralallaleru
dal petto il cuore le strappò
e dal suo amore ritornò.Non era il cuore, non era il cuore,
tralalalalla tralallaleru
non le bastava quell’orrore,
voleva un’altra prova del suo cieco amore.Gli disse amor se mi vuoi bene,
tralalalalla tralallaleru
gli disse amor se mi vuoi bene,
tagliati dei polsi le quattro vene.Le vene ai polsi lui si tagliò,
tralalalalla tralallaleru
e come il sangue ne sgorgò,
correndo come un pazzo da lei tornò.Gli disse lei ridendo forte,
tralalalalla tralallaleru
gli disse lei ridendo forte,
l’ultima tua prova sarà la morte.E mentre il sangue lento usciva,
e ormai cambiava il suo colore,
la vanità fredda gioiva,
un uomo s’era ucciso per il suo amore.Fuori soffiava dolce il vento
tralalalalla tralallaleru
ma lei fu presa da sgomento,
quando lo vide morir contento.
Morir contento e innamorato,
quando a lei niente era restato,
non il suo amore, non il suo bene,
ma solo il sangue secco delle sue vene.
La ballata dell’amore cieco (de André)