Vettenuvole

Reali fantasie di nuvole, montagne e altre amenità

Musica delle (Piccole) Dolomiti

Piccole Dolomiti

In questi giorni parliamo di una terra di boschi e graziose colline, estreme propaggini di valli alpine che convergono nel gruppo delle Piccole Dolomiti e del Pasubio.

È un lento avvicinarsi dai paesi di Schio, o Valdagno e Recoaro verso i gruppi di calcare che si ergono a custodire valli e confini di regione. Da una parte il Veneto e dall’altra il Trentino.

Un calcare verticale ed impressionante, il cui profilo viene ripetuto nei cartelli indicatori e lo trovi anche negli adesivi, in negozi e auto. L’Emmele, il Cornetto, il Baffelàn…il gioco è ricordarli tutti bene in fila, questi picchi che disegnano il paesaggio.

Salendo in auto Luciano mi illustra la geografia di questa terra. Di là il Pasubio, teatro di guerra e di morte, dove ci si perde, che quello che vedi è solo l’inizio e forse certe cose è meglio non vederle e lasciarle dove sono. Come ci ricorda il vicino Ossario.

Ma sono le pareti oggi a reclamare attenzione, spigoli, pinnacoli impressionanti. Che da ogni angolatura mostrano aspetti inediti e ogni volta sorprendenti.

Dal Piano delle Fugazze in una mezz’ora siamo all’attacco diretto del Pilastro del Vaio Stretto, lo spigolo Noaro. La parte bassa è percorsa da un’apertura di recente invenzione. Ma è come la scoperta dell’America: qualcuno c’era già stato prima, con un passaggio un po’ diverso.

Comunque sia la roccia qui è verticale. La bellezza di una via e sovente anche la sua difficoltà si misura sul metro della verticalità. I IV ed i V sono strapiombanti, con buone prese per buone mani, cosa che mi mette a disagio andando per lo più a spasso sulle placchette appoggiate. Ma c’è da riconoscere l’intrinseca bellezza di questi percorsi verticali, su cui mi tira Luciano. Le vie sono chiodate relativamente bene, dove non ci sono i chiodi ci pensano clessidre e mughi ad offrire sostegno ed assicurazione.

I mughi – dovete sapere – sono esseri viventi a cui ci si appende. Pinetti di scarsa statura, ma, a quanto pare, buone radici.

Giunti in cima al Pilastro, seguendo un percorso labirintico a base di buchi, doppie e cenge arriviamo all’uscita del Vaio Stretto. Da qui saliamo un comodo sentiero verso la Sella dell’Emmele per andare allo Spigolo Soldà del Monte Cornetto. L’ambiente merita di essere osservato, vissuto con calma. Siamo tra pareti verticali scavate da gallerie e sentieri della guerra.

La seconda lunghezza dello Spigolo Soldà (IV da relazione), è una delle più impressionanti che abbia mai salito, ben più difficile del V che segue. Strapiombo sostenuto e verticalità continua su un’esposizione formidabile. Morbide e verdi malghe fanno da contraltare all’improvvisa parete.

Tetti, traversi e camini. E siamo in cima. Le dolci note del flauto traverso diffondono l’armonia che dimora sulla vetta del Monte Cornetto: troviamo una giovane artista con sua figlia, che viene a suonare quassù perchè il vento porti lontano quella musica. Per me è stato il modo migliore per apprezzare un arrivo in cima.

Il giorno dopo saliamo verso il Baffelan, una pala verticale di almeno 350m di dislivello che interrompe troppo improvvisa un pianoro così dolce. Fa un po’ impressione e visti i gradi mi chiedo se sarò davvero in… grado di salire senza restare appeso da qualche parte. Quant’è verticale? E tutte quelle lumachine che ci fanno qui? Lontani parenti dei gasteropodi che dimoravano in altre ere? Ma il V ed il VI non sono così “sproporzionati” rispetto al IV, tant’è che arrivo incredulo in cima. Un’altra bella via tra diedri, camini, archi… è fatta. La via del Piacere. Ecco un bel nome che rende onore a questi elementi.

La quiete sovrasta la cima del Baffelan ed un redivivo sole toglie la voglia di scendere. Ma sarà un Piacere anche il ritorno, sulla normale del lato nord, tra sentieri scavati e lungo un selvaggio ed incassato boale (così chiamano i canaloni, gli stretti canalini e couloir sono i vaii).

E ancora vaii e pendii si vedono di là, verso il Carega, dove trova migliore espressione lo scialpinismo.

Raccontano tanto queste Piccole Dolomiti a guardarle bene: frane ad esempio, ferite aperte che testimoniano irreversibili cambiamenti climatici. Ma anche  strade avventate, costruite ed abbandonate perchè franate, riconvertite a trappole per turisti, grazie a ponti tibetani che sembrano riscuotere il successo delle masse a pochi passi dall’immensa bellezza delle pareti di calcare. Senza quel ponte – mi spiega Luciano – la gente non verrebbe più qui.

Ma fanno riflettere anche le stazioni ferroviarie che spuntano improvvise tra parcheggi e supermercati, giù in valle, lasciti di collegamenti ferroviari abbandonati in favore del trasporto su gomma. Qua il paesaggio ovunque sembra aver tanto da raccontare. Nella  composta bellezza di oggi, evoca ad ogni angolo occasioni perse, ricchezze andate, o ferite del passato.

Me ne tornerò nella città frastornato e felice di questi paesaggi, con la visione ancora intatta nella mente di boscose valli, dove le collinette cedono man mano spazio a montagne più alte ed infine a pareti verticali dall’esposizione totale, dove la musica porta lontano uno stato di purezza e grazia che abbiamo il dovere di trattenere.

E grazie infinite a Luciano e Roberta per l’ospitalità e per avermi fatto conoscere questi ambienti straordinari! Grazie a Luciano per avermi portato su queste pareti con la calma ed il piacere di chi vuol bene alla montagna.

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