Quando un amico mi ha consigliato la lettura dell’autobiografia di Albert Frederick Mummery ho tradito un attimo di perplessità. Retorica della montagna, della lotta, dei demoni d’alta quota e altri elementi pittoreschi a volte rendono la letteratura dell’alpinismo del XIX secolo poco fluida.
Le pagine – invece, pensa te… – scorrono veloci e divertenti, lo humor inglese prevale ed ironizza sulle notevoli avventure del protagonista, facendoci ancor più ammirare le prodezze e gli slanci dell’autore. Siamo alla fine del 1800, le vette maggiori sono state ormai salite. E proprio in quegli anni nasce il vero alpinismo, ovvero la salita per una via “non normale”, una salita senza utilità, fine a sè stessa. Oggi è un movente scontato, eppure è proprio Mummery il primo a sancirlo in modo così chiaro ed inequivocabile.
Le salite sono descritte in maniera precisa. Sui Charmoz e sul Grepon oggi c’è qualche spit e si sale con picca e ramponi. Eppure restano salite di notevole difficoltà, da affrontare con una buona esperienza e competenza dell’ambiente d’alta quota. Pensiamo quindi a come le abbia potute affrontare Mummery, per la prima volta, senza ramponi, e con le picche della guida Burgener che si spaccavano a forza di gradinare. Gli incredibili aggiramenti di seracchi e crepacci, le pareti con gli scarponi chiodati, gli avvicinamenti con le prime “lanterne pieghevoli”, la meticolosa ricerca del canalino o dosso migliore per poter procedere.
Imperdibili i racconti umoristici sui demoni di alta quota la notte sotto il Cervino, o la descrizione dei crepacci volta a sminuire il sopravvalutato pericolo di caderci dentro. Ma Mummery rivendica anche la passione per l’ambiente e la montagna nella sua interezza (il fatto che ad un uomo piaccia arrampicarsi su una parete verticale non lo rende in nessun modo insensibile a quanto vi è di bello in natura).
Mummery sa già come vanno le cose in montagna: la prima salita è impossibile, poi diventa molto difficile, infine una passeggiata per signore. Possiamo dire che anticipa il problema delle svalutazioni e del VII grado? Ed in montagna non si va solo di fretta, si prende il tè e si fanno anche fotografie. Come quella scattata dalla sua amica Bristow sul Grepon durante un’audace ripetizione.
Nelle imprese di Mummery traspare senz’altro l’attenzione al modo con cui si sale la montagna. Il più possibile pulito, senza far uso di mezzi artificiali, quella che oggi chiamiamo arrampicata libera. Ma non disdegna ogni arguzia per vincere i mauvais pas, compresa la piramide umana. Un anticipo di infinite future polemiche sulle progressioni in montagna, che con lo sviluppo di nuove tecnologie porteranno a posizioni anche più intransigenti (ovvero salire senza alcun aiuto nella protezione, pure nei tratti più difficili) e altre meno. Tutte posizioni legittime, ma spesso poco conciliabili tra di loro.
Invece resta assolutamente attuale e valido l’insegnamento, oggi scontato, al di là di ogni attrezzatura o metodologia con cui affrontare una via di salita: «la corda dovrebbe essere considerata da ogni membro della comitiva solo come un mezzo per proteggere e aiutare i propri compagni. Chi ha bisogno di usarla costantemente per sentirsi a proprio agio, dovrebbe considerare tale necessità la prova inconfutabile che sta affrontando imprese troppo difficili per le sue capacità»[…]. Qui l’autore intende utilizzo di una corda come mezzo di progressione anzichè di assicurazione, procedendo poi con la disamina dell’eccezione con cui si possono affrontare i mauvais pas.
Quello appena citato è solo un esempio di altri tanti suggerimenti tecnici con cui salire una montagna, ognuno meriterebbe interessanti riflessioni. Solo su un punto Mummery è assolutamente intransigente. L’unico vero alpinismo è quello che si pratica aprendo una nuova via e, soprattutto, senza l’aiuto di una guida alpina. Con la guida è possibile salire ovunque, con la certezza del risultato, togliendo fascino e libertà al senso della salita. Qui dobbiamo osservare che lo stesso Mummery si servì più volte delle guide (in particolare Burgener), ma per aprire nuove vie. Ma quella di Mummery è soprattutto un’invettiva ad un particolare senso di servizio reso dalla guida, in nome di un principio di mercato – che conosceva bene, essendo egli stesso economista. Il Cervino dà una dimostrazione interessante del declino dell’alpinista dilettante contemporaneo: l’alpinista è una «vacca da mungere», cullato e accudito dalle guide in un modo lesivo della dignità e di ogni sentimento di virile autosufficienza.
Le visioni di Mummery vanno poi oltre, spingendosi fino a vedere un alpinismo che non ha come meta la cima di una montagna, ma solo una via di salita, quasi a voler anticipare la spiegazione di fenomeni come quelli in Italia del Nuovo Mattino.
Mummery sparisce senza lasciar tracce durante una visione troppo alta, sul Nanga Parbat, impossibile da salire alla fine del XIX secolo ed in stile alpino! A me piace pensarlo però in cima alla montagna impossibile, mentre sorseggia una tazza di tè.
Albert Frederick Mummery
Le mie scalate nelle Alpi e nel Caucaso
Ultima traduzione: Vivalda Editori 2001 – ISBN 88-7808-149-3
Tornerò con calma su questo post davvero straordinario e ricco di spunti di riflessione sull’andar-per-monti.
Provo a dire cosa penso dopo aver letto questo tuo post bellissimo, scritto perfettamente, leggibilissmo.
Mi è un po’ rimasta sullo stomaco la questione della corda che, al di là delle questioni tecniche (fondamentali nell’alpinismo), a me piace pensare in senso simbolico, come un qualcosa che lega gli alpinisti, soprattutto dal punto di vista psicologico.
Solidarietà? Condivisione? Alpinismo come pratica che ci proietta in una dimensione che supera gli egoisimi, gli egocentrismi e i vari e nauesanti narcisismi tipici della dilagante sportivizazzione e commercializzazione dell’anda-per-monti?
Insomma flaco, dimmi tu, ma oggi è davvero superato ed anacronistico immaginare un alpinismo dal volto umano? Dove la cordata simboleggia la volontà di affrontare le difficoltà insieme, in gruppo, al di là di tutto e in vista del raggiungimento di un obiettivo?
Al di là del mero tecnicismo?
Eh sì Beppe, hai fatto centro… La mia opinione è che sarebbe bello se l’alpinismo, ma anche l’escursionismo e il mountaineering in generale per dirla all’inglese fossero prima di tutto animati dai valori che ci riporti. Prima e al di là di ogni tecnicismo e agonismo sdrucciolo.
Anche io penso che quando vado in montagna con qualcuno una corda ci debba essere sempre. E’ la corda che ti lega in modo empatico con i compagni, che ti porta a condividere le sensazioni, le meraviglie, le fatiche ed i piaceri. Che ti ricorda che si parte e si arriva insieme, che ti fa anche conoscere ed apprezzare davvero le persone. Non sempre è scontato trovare questa corda, ma è per questo ancor più preziosa e va sempre ricercata. Questo è poi anche il senso che mi piace leggere nella frase di Vysotsky…